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Di Michele Cascino - Presidente Associazione Cultura d’Innovazione ed impresa
Una recente pubblicazione della Svimez, dell’ottobre 2007, curata da autori di tutto rispetto, sulla condizione dei laureati del Mezzogiorno affronta il dilemma se considerare gli stessi una risorsa sottoutilizzata oppure dispersa. Anche se la ricerca riporta dati che riguardano il periodo che va dal ’94 al 2000 con qualche incursione fino al 2003, tuttavia per la Basilicata si possono rinvenire elementi utili di riflessione e meditazione.
La Basilicata, specie dai dati più recenti, vanta un cospicuo numero di laureati ed in percentuale maggiore a quello delle altre regioni del Mezzogiorno. Il dramma nasce sul livello di occupazione degli stessi. Intanto, la Basilicata accusa una perdita netta di capitale umano a favore delle regioni più evolute. Infatti, in Basilicata, come nelle altre regioni del Mezzogiorno, c’è una bassa domanda di lavoro qualificato. I giovani, perciò, emigrano al Centro Nord non per scelta, ma per necessità. Il paradosso è che i laureati meridionali che lavorano nel Centro Nord hanno spesso condizioni contrattuali peggiori di quelle conseguite da coloro che restano nel Mezzogiorno.
La mobilità territoriale non garantisce a coloro che emigrano una piena soddisfazione professionale e rallenta nel contempo la crescita della produttività nel territorio di provenienza. Qui si sconta un retaggio storico. In Italia l’esito degli studi, dicono gli autori (Mariano D’Antonio e Margherita Scarlato), è fortemente determinato dall’origine territoriale e dall’origine socio-economica dello studente.
Intanto, nel Mezzogiorno complessivamente inteso è particolarmente accentuato il nesso tra la condizione sociale d’origine dei giovani e le opportunità di lavoro. Questo conferma che la società meridionale non fornisce uguali opportunità, la condizione di nascita è decisiva e non è disgiunta dal ruolo centrale che riveste l’istruzione.
L’emigrazione verso il Centro Nord, specie in Basilicata, può avere anche un altro risvolto perché se è vero che rappresenta una perdita di capitale umano, risorsa preziosa, rappresenta comunque un ruolo di rottura rispetto al mercato del lavoro ingessato da rigide barriere all’ingresso. Perciò la mobilità territoriale allo stato è l’unica strada che conduce a una maggiore mobilità sociale, a un innalzamento delle aspirazioni che faccia crescere gli stimoli all’investimento in istruzione.
Si impone perciò, perché i diplomati ed i laureati del Mezzogiorno possano trovare opportunità di impiego adeguate nella loro terra, che si crei una maggiore crescita dell’economia meridionale. Ecco perché sbloccare l’immobilismo della società del Sud è comunque una via d’uscita ai giovani di talento che optano nell’investire sul proprio capitale umano piuttosto che adagiarsi alle connessioni e protezioni non sempre limpide sul mercato del lavoro locale.
C’è ancora un’altra ragione per bloccare il declino, che fa capo comunque alla sprovincializzazione della regione. I tempi sono maturi per fare di ogni regione del Sud un centro di raccordo per sviluppare un’azione di sistema a scala di un Mezzogiorno inteso come grande ed unitaria regione d’Italia e d’Europa. Contribuire con ciò alla realizzazione dell’Europa mediterranea.
Michele Cascino Presidente Associazione Cultura d’Innovazione ed impresa
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