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Paesaggi culturali: i falsari di storia |
Mutamenti a Mezzogiorno
Qualche anno fa, in occasioni del seminario "cento anni per i sassi di Matera 1902/2002" con la presenza dell’ ICOMOS (organismo internazionale di consulenza per il restauro dei monumenti siti UNESCO), si è discusso sul passato, presente e futuro degli antichi rioni. Fra i tanti temi interessanti trattati ve n’era uno che più di altri merita di essere ricordato e che riguarda la questione della qualità degli interventi di recupero. Sempre in quel periodo, Vittorio Sgarbi, in un articolo apparso sul Sole24Ore, rifletteva sullo stesso argomento e affermava che " il minor danno viene dall’abbandono".
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Qualunque edificio storico o luogo riconosciuto come bene culturale, in rovina, trascurato o dimenticato, "conserva una dignità e un’autenticità che molto raramente i restauratori architettonici e del paesaggio riescono a preservare. Possiamo serenamente affermare che, nell’ordine delle calamità, la prima in assoluto è il restauro, seguito dai terremoti, alluvioni e ordinaria trascuratezza". L’ex sottosegretario ai beni culturali con questa affermazione, al di la del tono che può sembrare assurdo, il restauro meglio della trascuratezza, evidenzia l’esistenza di un problema quello appunto dell’autenticità del restauro, tutt’altro che risolto.
Nella storia dei restauri non sono pochi gli episodi che possono essere annoverati in quello che l‘ex sottosegretario ha più volte definito "inventario degli orrori". Quando parliamo di interventi di recupero degli antichi rioni, per esempio, è opportuno avere ben chiaro la straordinarietà del progetto. Un tessuto urbano ricco di particolari, di spazi vuoti e pieni.
Un labirinto di immobili subdiali e ipogei, dove insistono problematiche di ogni tipo. Oggi i Sassi si presentano come una realtà in continua alterazione. Si ha l’impressione, avvolte, che il paesaggio, con tutto il suo fascino, soccombe in modo drammatico al processo inevitabile del riuso funzionale. Il dramma della trasformazione degli edifici e del paesaggio lo si avverte soprattutto nelle giornate d’inverno, quando la pioggia scende giù nei due crateri e il silenzioso disappunto dell’ambiente si manifesta anche agli occhi meno esperti.
Il punto non è rinunciare alla sfida della rivitalizzazione, oramai irreversibile e per molti aspetti compiuta. Piuttosto trovare il giusto equilibrio tra riuso, adeguamento funzionale e necessità di salvaguardare la dignità e l’autenticità del luogo. Si tratta, per dirla con Alvaro Siza, di mettersi in sintonia con l’estrema singolarità e la indiscussa compiutezza del patrimonio storico ereditato. Quando si interviene in un contesto culturale e ambientale di eccezionale valore, oltre ad una corretta conoscenza dei luoghi, delle norme e delle categorie disciplinari del mestiere, è richiesto, a coloro che hanno la responsabilità, il massimo sforzo nella mediazione del progetto.
Progetto che deve essere "inteso come iter tortuoso… tra le reali premesse e le possibili conseguenze, tra razionale coerenza e indulgenza fantastica" (A. Restucci).
Pensavamo che per garantire la continuità tra passato e futuro fosse sufficiente dotarsi di strumenti normativi e di indirizzo, come appunto il manuale di recupero e il codice di pratica. Così non è stato. I più tenaci nelle violazioni sono stati propri coloro che avrebbero dovuto dare l’esempio.
Di sicuro, nell’inventario degli orrori possono essere annoverati numerosi interventi d’iniziativa pubblica. Così come possono essere computati alcuni interventi d’iniziativa privata che si sono realizzati anche grazie all’ambiguità, in parte consapevole, di importanti istituzioni culturali.
E’ necessario comprendere che la sfida può avere un esito positivo a condizione che l’intera comunità acquisisca maggiore coscienza. Pretendendo da tutti i protagonisti di questa inedita avventura, libero professionisti, imprese, utenti e istituzioni pubbliche, il massimo della qualità possibile. In caso contrario Vittorio Sgarbi direbbe "meglio l’abbandono".
Questo non è possibile naturalmente. Quello che si vuole comunicare è invece un certo imbarazzo che si coglie di fronte a interventi di recupero privi di senso. La chiamano "democrazia progettuale", in realtà siamo di fronte ad un vuoto ideale.
E’ il trionfo della stupidità. Oltre ai ladri di storia, ai predatori dell’anima della civiltà contadina, oggi possiamo annoverare anche i cosiddetti falsari. Sono coloro che con supponenza agiscono con mano pesante sul tessuto narrativo, mutandone la forma e i riferimenti spaziali. Facendo venir meno il senso vero della nostra specialità insediativa e paesaggistica.
Falsando la percezione visiva e olfattiva del viaggiatore. C’è chi dice che il restauro è un’illusione, forse ha ragione.
Il punto è che non può trasformarsi in un inganno per tutti noi.
Associazione Mutamenti a Mezzogiorno |
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